Network marketing: i vantaggi fiscali e previdenziali
Tra i metodi di guadagno che si stanno affermando a seguito della rivoluzione tecnologica degli ultimi anni rientra anche il network marketing. Una attività che, con le nuove tecnologie, ha assunto contorni non ben definiti, tanto da far sorgere problemi in merito al suo corretto inquadramento legislativo. Tanti i vantaggi fiscali e previdenziali; pochi gli adempimenti amministrativi. Non mancano poi dubbi su profili di liceità, anche se in Italia esiste una rigida normativa in ambito di network marketing, che prevede sanzioni pesanti per garantire che i comportamenti di networker e promoter siano corretti.
Il network marketing (o multi-Level marketing) sta vivendo una seconda giovinezza a causa della particolare natura del suo duplice modello di redditività, generato in parte direttamente dalle vendite effettuate dal promoter e in parte indirettamente dalle vendite dei membri del team reclutati dallo stesso.
È facilmente intuibile come l’apporto del web marketing a tale metodo di guadagno sia enorme: da un lato c’è la possibilità di raggiungere decine di migliaia di persone per trovare possibili clienti o membri del team, mentre dall’altra gli automatismi e le opportunità di comunicazione in remoto comporta una riduzione del tempo di lavoro necessario.
Ma cos’è esattamente il network marketing? Proviamo a darne una definizione il più possibile esaustiva.
Definizione
Il network marketing è un sistema di distribuzione, promozione e vendita fondato su una struttura ramificata di promoter distribuiti su più livelli progressivi, nel quale guadagna tanto chi segnala la vendita quanto il soggetto che lo ha “reclutato” all’interno del sistema stesso.
Obiettivo della rete: essere estremamente diffusa, con piccole strutture di promoter motivati e attivi e senza creare strutture centralizzate, in modo da poter raggiungere il più alto numero possibile di clienti.
Questi sono i motivi alla base del sistema di reclutamento, che punta all’acquisizione di tanti promoter che creano un piccolo volume d’affari, spesso per arrotondare lo stipendio, privandoli delle responsabilità imprenditoriali.
Un interesse legittimo, visto che il legislatore ha provveduto a redigere un’apposita regolamentazione al fine di prevenire i possibili abusi.
Aspetti poi, quelli del rapporto prevalentemente occasionale, dell’assenza di qualunque tipo di mandato e della totale mancanza di qualunque vincolo da parte del promoter, che sanciscono la grande differenza tra la figura del networker e quella del procacciatore d’affari o dell’agente di commercio.
Ovviamente tale sistema si presta molto a eventuali storture ed abusi, in particolar modo riconducibili a possibili “Schemi Ponzi” e/o “Catene di Sant’Antonio”: proprio per evitare tali situazioni in Italia esiste una rigida normativa in ambito di network marketing.
Regolamentazione italiana
Il network marketing è riconducibile nella disciplina della vendita a domicilio.
La norma, attualmente in vigore, che disciplina tale settore è la legge n. 173/2005.
All’interno della norma vengono sancite le regole per garantire la liceità dei comportamenti che sono riconducibili a tre tipologie esplicite di divieti:
1) l’assoluto divieto di qualunque costo di accesso al programma, anche solo per dotarsi di un campionario di prodotti da presentare agli eventuali possibili clienti (è possibile, però, prevedere un sistema di rimborso di tale campionario sui ricavi percepiti dal promoter a seguito delle vendite effettuate);
2) il divieto categorico di qualunque obbligo al sostenimento di corsi di formazione a pagamento o l’obbligo di acquisto di licenze, autorizzazioni o altri servizi a supporto dell’attività di vendita;
3) la totale illeceità di quei programmi che sono finalizzati non alla vendita di un prodotto/servizio ma alla crescita dei soggetti che compongono il programma stesso.
Tali regole vertono sulla censura di quei comportamenti volti non tanto a creare un reale sistema di vendita diffuso, spontaneo e parcellizzato che è il network marketing “buono”, ma quanto piuttosto a truffare i soggetti tramite una “Catena di Sant’Antonio” o uno “Schema Ponzi”.
La stessa Corte di cassazione, rimarcando questa impostazione con la pronuncia n. 37049 del 2012, ha precisato che l’eventuale ferma volontà del soggetto a partecipare al programma di network marketing illecito non causa alcun esonero di responsabilità da parte dell’azienda venditrice, sancendo quindi una indisponibilità di gestione dell’obbligazione da parte del soggetto debole.
Anche sotto il profilo sanzionatorio la normativa risulta particolarmente severa:
– per l’inottemperanza a quanto prescritto nei punti 1) e 2) di cui sopra è prevista una sanzione amministrativa compresa tra 1.500 e 5.000 euro;
– per la contravvenzione ai divieti sanciti nel punto 3) di cui sopra è prevista una sanzione economica compresa tra 100.000 e 600.000 euro, la segnalazione alle associazioni di consumatori e utenti e la reclusione da sei mesi ad un anno.
Aspetti fiscali
Il promoter aderente a un programma di networking viene definito networker e gode di una particolare disciplina fiscale, pensata appositamente per andare incontro alla natura spesso prettamente accessoria dei compensi derivanti da tale attività.
In particolare, ai fini delle imposte sui redditi, i compensi del networker sono assoggettati a ritenuta alla fonte del 23% che viene trattenuta dall’azienda venditrice, che funge quindi da sostituto d’imposta, direttamente sul compenso percepito, fatta salva una quota forfettaria di costi di gestione del 22% (in pratica, la tassazione secca avviene sul 78% dei compensi).
Ciò comporta, ovviamente, che:
– tali redditi saranno del tutto separati da eventuali ulteriori redditi;
– non saranno soggetti a IRPEF;
– non daranno luogo ad alcuna dichiarazione dei redditi in capo al networker che non abbia alcun tipo di ulteriore reddito o proprietà immobiliare.
Inoltre, i networker sono considerati come lavoratori autonomi occasionali fino al raggiungimento di un reddito annuo di 5.000 euro netti (pari a 6.093 euro lordi) e, quindi, non dovranno aprire alcuna partita IVA al di sotto del raggiungimento di tale soglia, anche svolgendo continuativamente tale attività economica.
Superato tale tetto al volume d’affari il networker dovrà aprire una propria partita IVA ma vigerà ancora con un sistema estremamente agevolato, figlio dell’impostazione normativa che ha questa particolare figura.
Infatti, continuerà a persistere il meccanismo della ritenuta alla fonte anche a seguito dell’apertura della posizione IVA, generando così un sistema molto particolare sia sotto il profilo dichiarativo che fiscale.
Il networker professionale, infatti, è escluso dalla presentazione della dichiarazione dei redditi, non è soggetto agli studi di settore e/o parametri e non è soggetto nemmeno all’IRAP.
Egli dovrà provvedere a emettere le fatture di vendita, collazionarle e conservarle unitamente ai documenti di acquisto per le spese sostenute.
Sotto il profilo IVA dovrà provvedere a versare mensilmente e in maniera autonoma l’IVA sulle vendite entro il 16° giorno del mese successivo, a disporre le comunicazioni IVA trimestrali e provvedere alla presentazione della dichiarazione IVA.
Aspetti previdenziali e amministrativi
Invece, per quanto riguarda gli adempimenti previdenziali, il networker professionale (cioè colui che supera la soglia di 5.000 euro netti sopra indicata) deve iscriversi alla sola Gestione separata, andando a pagare i contributi attualmente stabiliti con aliquota del 25,72%, fino ad un massimale di 101.427, sul reddito imponibile, generato sempre fatta salva la quota forfetaria di costi pari al 22%, come evidenziato in precedenza.
Inoltre, tali contributi dovranno essere versati per i due terzi dall’azienda e solo per un terzo dal networker.
Infine, dal punto di vista amministrativo, il networker professionale svolge per definizione un’attività strettamente professionale ed è quindi escluso dall’obbligo di iscrizione alla Camera di Commercio.